una cuoca pericolosa

Cibo e idee per tempi da lupi (e non solo)


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A spasso nei campi e a lezione di grani antichi

IMG_2071OGGI MENTRE andavo a fare la spesa in auto sono passata accanto a un campo di grano urbano, una piccola distesa di spighe seminata, probabilmente, da qualcuno che pratica l’agricoltura a ogni costo, ma con un animo poetico, perché secondo me ci vuole una visione poetica del mondo per far crescere il grano nello spazio fra un capannone industriale e un distributore di benzina. Quindi chapeau a chi ce l’ha messo. Comunque, mentre passavo lì accanto mi è venuta in mente la mia amica Lisa, che in tempi recenti si è imbattuto in un’azienda senese che produce, e insegna come coltivare e utilizzare, grani antichi. Cioè tipi di grano con semi che non sono stati modificati per produrre di più e meglio e perciò hanno meno glutine, sono più digeribili e hanno altre virtù legate proprio al fatto di non essere stati modificati geneticamente per resistere meglio al clima, all’attacco dei parassiti e avere una resa superiore. L’azienda si trova a Scorgiano e organizza corsi fino al prossimo 13 settembre su come utilizzare le farine che si ottengono dai grani antichi (tutte le informazioni si trovano su www.laboratorioincorso.com ). Le lezioni non sono solo per addetti ai lavori, ma si rivolgono a un pubblico più vasto: tutti gli appassionati di pane, pasta e prodotti da forno, e non richiedono una preparazione specifica, ma solo la passione, appunto. Sono di varietà di frumento diverse con proprietà e caratteristiche differenti che permettono di produrre cibi di altissima qualità. Assaggiandoli si conosce il sapore del pane come era una volta, prima dell’avvento della genetica in agricoltura.

Guardando il campo di grano urbano ho pensato a Lisa e ai suoi grani antichi. Quelli del “mio” campo, probabilmente, non lo erano, ma non mancavano di poesia.

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La cipolla di Certaldo ha un nuovo fan

PROBABILMENTE dire che sono un’amante delle cipolle non è chic, ma che posso farci? Mi piacciono. Ecco perché la notizia che Gianfranco Vissani si è “innamorato” della cipolla di Certaldo tanto da volerla inserire in un paniere di eccellenze agroalimentari da utilizzare in mirabolanti creazioni all’Expò di Milano mi ha rallegrato, ma scoprire che sta preparando una ricetta speciale proprio con le cipolle certaldesi mi ha resa felice.  Sì, è vero, a me a volte basta poco per essere felice. A volte.

Tornando all’istrionico Vissani, nei giorni scorsi era in Valdelsa per realizzare una puntata del suo programma televisivo L’altro Vissani – Ricette di famiglia dedicata alla cinta senese e si è spostato fino a Certaldo per prendere accordi con il Consorzio dei produttori agricoli locali e visitare lo splendido borgo alto. Lo chef era già stato nel paese di Boccaccio qualche anno fa e aveva avuto modo di gustare la squisita cipolla che da sempre si coltiva nelle sue campagne. Ne era rimasto molto colpito, al punto che, a distanza di tanto tempo, se ne è ricordato ed è voluto tornare nella perla della Valdelsa Fiorentina per accordarsi per una fornitura speciale da utilizzare nella sua cucina. Sono molto curiosa di vedere cosa realizzerà Gianfranco il magnifico con questo ortaggio che, oltre a essere così amato in zona da figurare nello stemma di Certaldo, è più dolce e corposo della cipolla di Tropea e dà risultati notevoli in cucina sia da crudo sia da cotto. Peccato che durante la sua visita nel borgo alto certaldese, Vissani non abbia detto in quale puntata del suo programma mostrerà al pubblico di Rai Uno cosa si può fare con la cipolla certaldese: se non trovo un informatore, per saperlo dovrò sorbirmi non so quante puntate de “La vita in diretta”, che ospita lo show cooking di Vissani, e che davvero non è fra i miei programmi preferiti!

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E’ tempo di miele, è tempo di impegno

QUESTA SETTIMANA il Meat free Monday è andato in vacanza. Anche le abitudini, seppure buone, ogni tanto vanno cambiate o, come in questo caso, temporaneamente sospese. Questo non significa che ci sia all’orizzonte un post sulla sagra della salsiccia alla brace, solo che per questa settimana il lunedì è stato non solo senza carne ma anche senza cucinare. In onore del miele, ho preparato uno dei miei dolci preferiti: ricotta con noci e miele, appunto. In questo caso di castagno. L’ho scelto perché fra poco a Montalcino (dal 6 all’8 settembre) c’è la SETTIMANA DEL MIELE, un evento che coinvolge i migliori produttori toscani e italiani ed è dedicato a questo straordinario prodotto e a tutto ciò che se ne ricava, dai liquori ai cosmetici. Si tratta di un’occasione per conoscerlo a fondo in un ambiente altrettanto straordinario, la fortezza di Montalcino, e magari fare anche un minicorso di degustazione o partecipare a un assaggio guidato. Tutte le informazioni sulla Settimana del Miele di Montalcino, comunque, le trovate su http://www.asgamontalcino.com

Quando si dice “miele” spesso si pensa a qualcosa di molto dolce e indistinto, ma è un’associazione di idee riduttiva. Il miele di corbezzolo, per esempio, ha un retrogusto decisamente amaro, mentre quello di castagno ha solo un leggero retrogusto amaro. Quello di acacia è dolce e profumato senza essere stucchevole e quello di arance di Sicilia ha il candore dei fiori e l’aroma pungente delle foglie di agrumi. Non starò a fare l’elegia del miele anche se lo meriterebbe, mi limiterò a raccontarvi del “mio” dolce e a invitarvi a scoprire Montalcino e il miele durante il prossimo fine settimana. Ci saranno anche tavole rotonde e incontri con esperti del settore per chi avrà voglia di approfondire. Una cosa, però, va detta, ripetuta e sostenuta con impegno sempre: la qualità del prodotto. Attenzione ai mieli che vengono venduti a poco prezzo e di cui non ci sono indicazioni certe su chi li ha raccolti e messi in vendita. Spesso il prezioso lavoro delle api viene adulterato con additivi o scaldato e diluito con zucchero ed edulcoranti per aumentare le quantità, quindi COMPRATE MIELE CERTIFICATO, se italiano, tanto meglio. Quest’anno la raccolta primaverile è andata male a causa delle piogge e l’Italia ha fatto poco miele di acacia, di cui normalmente è il primo produttore mondiale, mentre la raccolta estiva, la più importante, è andata benissimo quindi dovete solo sbizzarrirvi nella scelta. A Montalcino dicono che il top 2013 è il miele di girasole.

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INGREDIENTI

Miele di castagno a piacere

100 grammi di ricotta fresca

5 o 6 noci sbucciate

LA RICETTA di questo dessert gareggia per il titolo di più semplice del mondo, però anche il risultato può ambire a un piazzamento nella classifica dei più buoni del mondo. Basta saper scegliere il miele del gusto preferito e, ovviamente, di ottima qualità.  Quello certificato italiano, lo ripeto, è perfetto. Ho preso la ricotta, l’ho messa in uno stampino da dolci e riposta in frigo per qualche ora così che prendesse la forma, poi l’ho impiattata e ricoperta di miele di castagno e guarnita con i gherigli di noce. E l’ho mangiata in santa pace a fine cena, ma va bene anche a metà pomeriggio, alle 23 davanti a un film, in terrazza guardando le stelle… In ogni modo, è pura poesia alimentare.

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Non c’è olio per gatti

E’ AMARO ammetterlo, ma davvero “non c’è olio per gatti”. La decisione della Commissione Europea di rigettare la norma che proibiva l’uso di bottiglie di olio di oliva anonime (e quindi riutilizzabili) nei ristoranti, e che mantiene la situazione attuale di scarsa, quando non pessima qualità dell’olio che viene portato sulle tavole di trattorie e locali (è ovvio che da Pinchiorri o alla Pergola di Beck l’olio arriva munito di pedigree), è l’ennesimo smacco per i produttori di eccellenza come l’Italia. Una vera beffa, se si considera che la proposta era sostenuta da ben 15 Paesi comunitari e che la bocciatura è arrivata per il consueto lavoro di lobby fatto dagli Stati del Nord Europa, dove l’olio non si produce e si consuma poco o niente. L’altro giorno ne parlavamo proprio a tavola con alcuni amici che mi hanno chiesto perché proibire l’uso di oliere e ampolle o, peggio, untuose e anonime bottiglie sulle tavole dei ristoranti sia un danno per chi fa olio di qualitá. La risposta é semplice: perché non tutela il prodotto né il diritto di chi lo consuma a sapere esattamente cosa consuma. Onestamente, dentro alle ampolline anonime ci finisce di tutto e viene spacciato per olio. A volte persino per extravergine!  Obbligare il ristoratore a dire cosa offre, cioé a usare un’identificazione certa per il proprio olio, significa garantire chi quell’olio lo produce con costi e sacrifici altissimi e chi quell’olio lo mangia, magari pagando a prezzo intero qualcosa che vale dieci volte di meno o pensando di condire con extravergine e invece è un’altra cosa. Ma a qualcuno verrebbe mai in mente di bere un whiskey d’annata servito in una bella caraffa di plastica? Accettereste un Brunello che arriva in una bottiglia giá aperta e con l’etichetta un po’ consumata?  E se la mattina a colazione il panetto del burro sul piattino accanto alla tazze del caffè non fosse incartato per benino, ma ve lo servissero ammezzato, con la stagnola aperta e  richiusa, segno evidente che é l’avanzo di chi ha fatto colazione prima di voi? Perché nei ristoranti non si trovano mai quelle belle burriere con un panetto da tre etti tutto intagliato dalle spatolate di chi si è servito prima di voi?  Questa decisione della commissione europea solo all’apparenza é di minore importanza. In realtá ribadisce ancora una volta che la politica agricola comunitaria è tristemente dominata dai Paesi del Nord Europa e questo per noi é un danno economico ma anche di immagine, perché l’agroalimentare italiano ha un’immagine forte e vincente che va difesa in ogni contesto, anche nella piú sperduta trattoria dello Yorkshire dove, se portano una bottiglia di olio in tavola, ce la devono portare con nome e cognome.