Categoria: Tradizioni enogastronomiche

  • Uovo in cascina alla Panero o alla Cracco?

    Uovo in cascina alla Panero o alla Cracco?

    Prelibate varianti sul tema del cibo “veg”

    Continuo il mio percorso verso l’obiettivo di cucinare almeno 52 piatti vegetariani di tradizione italo-toscana. Lo so, verdure, formaggi e uova sono patrimonio di tutta l’umanità, ma certe varianti su questo spartito infinito come la musica mi appartengono più di altre. E poi mi piace l’idea di scoprire se è vero che la cucina di casa mia non è solo bistecche e cacciagione come a volte si pensa.

    Prima della pandemia, ho frequentato un workshop di cucina dove la chef che guidava la lezione insisteva nel ripetere che la cucina toscana è povera, non ha fantasia, si riduce, appunto, alla bistecca e grandi arrosti di cacciagione, con l’unica variante del riutilizzo del pane raffermo tradotto in panzanella, ribollita e pappa al pomodoro.

    Io volevo controbattere che non è così, che c’è molto di più nella tradizione gastronomica toscana, ma lei era la chef e io, praticamente, nessuno e sono rimasta zitta. E mi sono pentita, perché alla fine penso che la propria opinione, soprattutto se ha un senso, con garbo e gentilezza si possa e, forse, si debba sempre esprimere.

    Comunque, la scelta della seconda tappa del mio percorso nella cucina toscana ‘veg’ (vegana o vegetariana a seconda dei casi) l’ho fatta pensando in grande: Enrico Panero e Leonardo Da Vinci. Con un tocco in più, alla Carlo Cracco. Tutto in un uovo? Tutto in un uovo. A ispirarmi è stato uno splendido volume dal titolo provocatorio e che sembra andare all’opposto della mia scelta per questo post, “Leonardo non era vegetariano”, di cui ho già scritto in occasione della pubblicazione anni fa e che spesso riprendo in mano perché è davvero una fonte di ispirazione in cucina e non solo. Fra le ricette del libro figura quella che lo chef Enrico Panero dedica a uno degli alimenti pare preferiti da Leonardo Da Vinci, l’uovo appunto, che Panero mette “in cascina” bello croccante, cioè fritto e accompagnato da verdure.

    L’uovo che chef Panero frigge dopo averlo impanato e prima di deporlo in un ‘nido’ fatto con verdure cotte e crude e patate viola a lamelle croccanti è prima assodato, poi passato nella panatura quindi fritto. Io ho voluto esagerare e ho deciso di farlo alla Cracco, cioè conservandone il cuore fondente.

    Il procedimento è un po’ lungo, ma vale la pena provarlo.

    Ingredienti

    Uova fresche, tante quanti sono i commensali

    Pangrattato minimo 250 grammi, perché i tuorli devono essere adagiati in una base di almeno 1 centimetro e poi ricoperti. Va bene anche un altro tipo di panatura tipo panko se lo preferite

    Olio di semi di arachide per friggere

    Per la creazione del ‘nido’ potete usare tutte le verdure fresche, fritte o brasate che più vi piacciono.

    Scegliete un contenitore adatto al congelatore e versate uno strato di almeno un centimetro di pangrattato. Prendete un uovo, pulitene delicatamente ma accuratamente la superficie e usatelo per modellare tante buchette quante sono le uova che utilizzerete.

    A questo punto aprite le uova una a una, liberatele dall’albume e versate il tuorlo in ciascuna buchetta. Il modo migliore per farlo senza che si rompa è usando le mani.

    Dopo aver depositato tutte le uova nelle buchette, coprite ognuna con altra panatura e mettete il contenitore nel congelatore, dove lo lascerete finché i tuorli non si sono induriti. Di solito ci vogliono quattro-cinque ore, ma dipende anche da quanto rapidamente congela il vostro frigo.

    A questo punto le uova sono pronte per essere fritte. Estraete ogni tuorlo, ormai sodo, dal contenitore e deponetelo nell’olio bollente, lasciandolo cuocere per poco più di un minuto. Scolatelo e mettetelo al centro del ‘nido’ che avrete preparato.

    Incidete l’uovo e vedrete il suo cuore fondente sciogliersi sulle verdure. Gustatelo quando è ancora caldo. Ha il sapore della rinascita.

    La foto qui sopra è l’immagine dell‘uovo in cascina realizzato da chef Enrico Panero per il volume “Leonardo non era vegetariano”. Il mio uovo non è venuto proprio bello come questo, ma era buonissimo.

    E poi si può sempre migliorare….

  • Il fast food in piazza Duomo a Firenze e il pesce di montagna

    LA MIA IGNORANZA in fatto di tradizioni alimentari è pari soltanto al mio desiderio di scoprirle. Come per molti appassionati di enogastronomia, per me visitare un luogo diverso da “casa” significa scoprire cosa mangiano e come cucinano le persone che, in quel posto, ci abitano da sempre. Ho visto ristoranti cinesi a Parma e rivendite di kebab in Trentino: non sono xenofoba, ma rifiuto l’idea di considerarlo un cibo locale. E per quanto riguarda il Mac Donald’s in piazza Duomo a Firenze, giusto per rimanere in tema di cibi “stranieri”, a chi dice che ci sono già fast food in tutte le grandi piazze italiane da Milano a Palermo rispondo: benissimo, togliamoli ovunque. Togliamo anche i panini di gomma e le piadine di plastica da tutte le piazze d’Italia, liberiamo i centri storici dai cibi che non ci raccontano, non ci rappresentano e non ci nutrono, ma ci fanno solo ingrassare a dismisura. Viva il lampredotto! E la schiacciata vuota, il prosciutto crudo affettato sul momento, la mortadella tagliata e messa nel pane fresco. Pane vero, non “mollicone”. L’agroalimentare è la nostra bandiera? Allora teniamola alta. E qui mi fermo, perché lascio il problema agli amministratori con poca, o molta, consapevolezza di cosa si deve fare per tutelare un doppio, inestimabile patrimonio: l’arte e il cibo italiani.

    Tornando alle tradizioni alimentari, la mia scoperta più recente riguarda il pesce di montagna. Meglio, il pesce locale come si cucina in montagna, in questo caso sulle Alpi Orientali. Trote e salmerini marinati fino a poco tempo fa erano sconosciuti al mio palato, ma una vacanza in Trentino a frequentazione intensa ha almeno in parte cancellato questa lacuna. La trota e il salmerino marinati per me sono stati la perfetta rappresentazione di quello che non ti aspetti – il pesce di montagna marinato – e ti sorprende in modo positivo. La novità che si manifesta in armonia con l’ambiente che la accoglie. Questi pesci che appartengono alla cucina locale si trovano anche nei negozi gourmet o nei supermercati preparati secondo metodi tecnologicamente avanzati, ma tradizionali nell’accezione e con materie prime semplici e di grande qualità, spesso prodotte in loco visto che conservare il cibo al meglio è sempre stato un imperativo nelle zone montane. Un’esperienza moderna inserita in un passato longevo che ha dato risultati eccellenti. Cosa c’entrano i pesci marinati col fast food più famoso al mondo in piazza Duomo a Firenze? C’entra, c’entra… I fast food sono un metodo alimentare recente, pensato per un contesto rapido e standardizzato: sono uguali ma proprio uguali da Pechino ad Anchorage, non hanno niente che li leghi al posto dove si trovano, stanno bene alla stazione dei treni, degli autobus, al centro commerciale, in un drive-in, nelle soste in autostrada. Non hanno alcuna possibilità di dialogo con la cupola del Brunelleschi. Sono un’esperienza moderna e basta. Così come sono realizzati, con plastica, plastica, plastica e uniformi non possono inserirsi nelle nostre tradizioni alimentari. Sono creature frenetiche che diffondono lo stesso odore (definirlo profumo sarebbe pretenzioso) in ogni stagione e in ogni luogo. Il passo di piazza Duomo a Firenze o piazza del Campo a Siena o piazza San Pietro a Roma è lento, monumentale e unico. Preserviamo questa unicità, anche a partire dai ristoranti che ci mettiamo.

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    LA RICETTA – La preparazione del salmerino o della trota marinati come li fanno in Trentino è più lunga che complicata. I pesci vanno prima puliti, spellati e deliscati poi vanno messi a marinare in aceto bianco del Trentino, vino bianco possibilmente delle Dolomiti, sale dolce, zucchero di canna, olio evo e pepe rosa. A marinatura conclusa, si ottengono dei filetti dal sapore leggero e persistente, squisiti e versatili perché sono buonissimi anche da soli, ma si sposano con una serie di contorni che spazia dai tuberi ai legumi, alla frutta fresca e secca. Il mio salmerino l’ho preparato con pesca noce a fettine, coriandolo,  kiwi Gold e polvere di rosa canina. Ho aggiunto anche una salsa di sciroppo di agave e curry dolce, ma solo per i palati più avventurosi. Strepitoso.  🙂

  • Zuppa di miso a modo mio

    CONTINUA LA MIA fascinazione per le alghe alimentari e visto che quella di miso è uno delle mie zuppe preferite, ho provato a cimentarmi in questo classico della cucina giapponese dove si usa anche l’alga kombu. Il risultato non giudicatelo dalla foto, perché non rende giustizia né al mio “operato” né al piatto in sé, che è pieno di sapore, ma leggero. Un gusto delicato e intenso allo stesso tempo, ideale per tutti i palati, non solo per vegetariani e vegani, anche perché i giapponesi lo consumano da secoli e certo non seguono tutti una dieta “meat free”. Ci sono molte versioni di questo piatto tipico e io ne ho elaborata una estremamente semplice e personale, dove non metto altro che alga kombu, appunto, e pezzetti di tofu oltre al miso, ma uso un buon brodo di pesce come base. Non è obbligatorio, ma a me piace di più rispetto all’uso del dashi, il brodo di base della cucina giapponese fatto con pezzetti di pesce essiccato. Tornando alla zuppa di miso, mi va di aggiungere che anche se si va verso la stagione calda e qualcuno può inorridire al pensiero di un brodo a pranzo o a cena, è buona pure in estate. E’ leggera e gustosa, nutriente senza essere pesante, “invernale” o fuori stagione. Insomma, da provare. Magari anche solo per dire “Mai più e mai poi”.

    INGREDIENTI

    1 foglio di alga kombu

    750 ml di brodo di pesce

    50-100 grammi di tofu fresco

    miso rosso, secondo preferenza

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    SU COME PREPARARE il brodo di pesce la scelta è assolutamente libera, io aggiungo sempre un paio di cicale di mare quando le trovo perché, secondo me, fanno la differenza. Una volta fatto e filtrato il brodo di pesce, l’ho rimesso sul fuoco e ho aggiunto il tofu tagliato a dadini facendolo scaldare piano piano (se si scalda troppo in fretta brucia senza cuocere) quindi ho messo l’alga e l’ho lasciata ammorbidire. Infine, a cottura ultimata, ho stemperato una cucchiaiata abbondante di miso rosso in un po’ di brodo caldo e l’ho aggiunta alla zuppa. L’aspetto lo so, non è invitante, ma il sapore è proprio l’opposto! Volendo, si possono aggiungere carote e cipollotti tipo il daikon tritati finemente e saltati in poco olio di arachidi alla zuppa di miso, per darle maggiore consistenza e farne un piatto più ricco e completo. Un accorgimento: il miso è piuttosto salato, quindi bisogna avere la mano molto leggera nel preparare il brodo di pesce. O evitare del tutto di salarlo.

  • Cibo di strada, la festa è nel Castello

    LO CHIAMANO “di strada” ma, per una volta, la prossimitá con il caos e le intemperie non è sinonimo di scarsa qualitá. Lo Street Food sarà il protagonista del prossimo fine settimana a Castelfiorentino, un popoloso comune in provincia di Firenze noto agli amanti dell’arte per essere città che ospita un museo dedicato a Benozzo Gozzoli e agli amanti del paesaggio per la collocazione nel cuore della Valdelsa Fiorentina, una zona visivamente ricca in ogni stagione dell’anno, ma che raggiunge lo splendore in primavera, quando le colline sono un trionfo di verde punteggiato di alberi in fiore. Arrosticini (sono quelli nella foto sotto), trippa, arancini, lampredotto, piadine romagnole, pesce fritto nel cono, panini con la milza, panigacci, il Pastìn (una specie di salsiccia e formaggio aromatizzati) bellunese… l’associazione aretina Street Food che cura l’evento insieme all’associazione Tre Piazze e al Comune castellani non ha tralasciato nessuna delle regioni che del cibo di strada ancora conservano un uso e una tradizione. Quindi le rappresentanze nella centralissima pizza Gramsci dove si tiene la manifestazione spaziano davvero dalle Alpi alla Sicilia. Con una puntatina anche nel Nord Europa per addolcire la bocca a tutti: ci sarà uno stand che farà waffles freschi ogni giorno. A completare l’offerta, una selezione di birre artigianali a marchio Street Food.

    arrosticini

    La festa dedicata al cibo di strada prenderà il via alle 17 del 21 marzo e proseguirà ininterrottamente fino a mezzanotte, sabato 22 gli stand saranno aperti dalle 10 alle 24 e così pure domenica, con chiusura, però alle 22. Domenica ci sarà un motivo in più per visitare Castelfiorentino: la festa di Primavera 🙂

  • Caro Bruno, eccoti servito: gamberi alla provenzale!

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    L’AMICO BRUNO lo ha scritto in un commento e altri me lo hanno detto di persona: scusa, ma tu citi solo cuochi anglosassoni? Ma non ti sembra di rinnegare la nostra tradizione latina, mediterranea? Insomma, da quando la Gran Bretagna è sinonimo di grandezza in cucina?

    Ho le mie idee su come cucinare sia una passione trasversale e quindi tutti, ma proprio tutti quelli che sono animati da grande passione possano diventare ottimi cuochi e grandi chef, però devo alle mie radici, e alle mie amicizie, un cambiamento di rotta e quindi per la nuova fonte di ricette d’autore mi sono rivolta a Claudia Roden, esperta gourmet e autrice di libri succulenti sulle tradizioni gastronomiche del Mediterraneo. Dal suo “La vraie cuisine de méditerranée toute simple” ho preso le indicazioni per i gamberi alla provenzale che spero piacciano a Bruno e agli amanti della NOSTRA cucina almeno quanto sono piaciuti a me, mia mamma e il mio amore che mi hanno aiutato a prepararli. La ricetta non è così complicata da richiedere aiutanti, ma loro due erano presenti mentre li “elaboravo” e si sono rivelati preziosi assistenti. E poi è bellissimo cucinare con qualcuno che fa tutto il lavoro noioso tipo sbucciare l’aglio, lavare i pomodori, tritare le erbe…

    Il risultato, ripeto, è stato amabile, la salsa ha un gusto intenso senza essere eccessivo e le spezie danno quel tono indefinito, ma prezioso, di sapidità che riesce a distinguere un piatto curato nei dettagli da uno normale. Solo i gamberi erano un po’ sciocchi e la prossima volta li salerò a parte.

    INGREDIENTI

    300 grammi di gamberi puliti

    una cipolla affettata sottile

    olio evo q.b.

    due spicchi di aglio tagliati finemente

    500 grammi di pomodori sbucciati e fatti a dadini

    un cucchiaio raso di zucchero

    un peperoncino piccante fresco

    tre cucchiai di cognac

    15 cl di vino bianco secco

    due rametti di timo fresco

    una foglia di alloro

    tre cucchiai di prezzemolo fresco tritato

    sale e pepe q.b.

    NON SARA’ professionale, ma i gamberi me li sono fatti pulire al banco pescheria. Vorrei avere tutto il tempo del mondo per cucinare, però ultimamente di tempo libero ne ho poco poco e quindi quello per la pulitura dei gamberi l’ho usato al banco frutta e verdura! Per cominciare ho preso la cipolla gentilmente affettata da mia mamma e l’ho messa in una capiente padella con un giro d’olio già caldo e l’ho fatta imbiondire prima di aggiungere l’aglio e lasciar cuocere a fuoco medio per due-tre minuti. A questo punto ho aggiunto tutti gli ingredienti eccetto i gamberi e il prezzemolo, avendo cura di mettere il cognac per ultimo, e ho proseguito la cottura per una ventina di minuti a fuoco lento, fino a far ridurre la salsa e lasciare sprigionare l’aroma di vino e cognac. Quindi ho aggiunto i gamberi che ho cotto per tre minuti a fuoco medio. Dopo aver impiattato, una spolverata di prezzemolo tritato (che nella foto non si vede ma c’é) e via in tavola.

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    Il mio amore mi ha aiutato a fare le foto che, non è per piaggeria, mi sembrano un po’ meglio del solito 🙂

    La forza di questo piatto è negli aromi di spezie, erbe e vini che si fondono nel pomodoro e vengono esaltati dalla dolcezza dei gamberi. Li abbiamo gustati con un prosecco e accompagnati da pane ai cereali fresco e fragrante, ma la prossima volta voglio provarli con un rosé e riso basmati tiepido. Lo so, il basmati non cresce in Provenza però un po’ di fusion che danno può fare?

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